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Orti Giuli: breve cronaca di una lunga catabasi

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Gli Orti Giuli sono senza dubbio un gioiello incastonato nel freddo e decadente panorama pesarese, un campo di battaglia su cui imbastire scontri ideologici aventi lo scopo di colpire l’animo dei cittadini, ma che poi si sono sempre tradotti nell’incapacità di valorizzare la Bellezza incarnata in questo luogo, nel quale Storia e Natura si uniscono in un Unicum capace di equilibrare alla perfezione suddetti elementi: si troverà mai una via per condurli alla Rinascita?

Orti Giuli, panoramica sui lavori incompiuti.
Orti Giuli, panoramica sui lavori incompiuti.

Nati tra il 1827 e il 1830, furono uno dei primi parchi pubblici dell’800 italiano e la loro costruzione si deve al conte pesarese Francesco Cassi, famoso latinista, che volle dedicarli alla memoria di suo cugino, ossia il letterato Giulio Perticari, che si era spento nel 1822, e infatti, proprio dal nome del Perticari, deriva l’appellativo dei giardini: sorgono fra le rovine del bastione delle antiche mura roveresche, chiamato Bastione del Carmine, a fianco di Porta Rimini, che costituiva l’ingresso settentrionale della città.

Il responsabile del progetto, l’ingegnere ferrarese Pompeo Mancini, diede vita a un’opera che si accordava perfettamente al gusto neoclassico di quel periodo, con boschetti, lapidi romane e statue, fra cui, nella parte più alta, svetta, primus inter pares, il busto del Perticari, sito al centro della piccola piazza da dove sono osservabili il porto, il fiume Foglia e il Colle San Bartolo; sempre all’interno dei giardini si trova poi anche il celebre Osservatorio Meteorologico Valerio.

Pur non avendo mai perso la loro originaria funzione di giardino pubblico, essi sono però andati incontro a una lenta caduta verso l’incuria e la dimenticanza, un’ingloriosa catabasi che li ha condotti a divenire ricettacolo di un triste degrado, voragine insaziabile che ha divorato ogni tentativo di riqualificazione.

Orti Giuli, rappresentazione artistica.
Orti Giuli, rappresentazione artistica.

Dobbiamo chiudere la partita: sistemare l’edificio, […]. Poi cercheremo con i fondi europei altre risorse”, Matteo Ricci, 2015.

Lavori incompiuti, depositi di fogliame e sampietrini rotti sono solo alcuni dei tanti aspetti che saltano subito all’occhio di chi ivi giunge per contemplare il loro fascino.

Quale potrà mai essere il nostro Destino se lasceremo che la Storia, i suoi monumenti e l’identità che essi rappresentano, nostra massima Estensione Fenotipica, finiscano non per sparire, bensì per essere sepolti sotto il velo dell’indifferenza?

Io, giovane che ha scelto di Essere qui, e non altrove, mi chiedo: per quanto tempo ancora cacocromie spaventevoli avranno la precedenza sulla Rinascita di questa città?