I Samurai: i leggendari guerrieri del Giappone antico
Oggi, sentendo parlare di Giappone, ci viene quasi subito spontaneo pensare all’Animazione o alla Fumettistica, eppure una delle figure nipponiche più conosciute, oramai entrata nell’immaginario collettivo, è certamente il Samurai, il nobile guerriero maestro in numerosi ambiti, dalle arti marziali, a quelle spirituali e letterali: chi erano davvero questi uomini leggendari?
Già solo il nome Samurai, che, durante il periodo Heian (794 – 1185), era pronunciato Saburapi o Saburai, il quale sembrerebbe derivare dal verbo saburau (servire, tenersi a lato), ci fa comprendere quale ruolo spettasse loro, essendo essi divenuti nel tempo i servitori dei cosiddetti Daimyō, cioè gli uomini di potere più importanti del Giappone feudale; tuttavia va anche precisato che i Samurai si configurarono come casta militare solo nel XII secolo, mentre il ruolo di servitori dei Daimyō è invece attestato a partire dal XVII, a seguito delle riforme dei Tokugawa: essi infatti erano in origine le guardie del Palazzo Imperiale. La loro maestria non era limitata alla sola arte bellica, ma anche alle pratiche del Buddismo zen, come il Cha no yu, ossia la preparazione rituale del tè, nonché a numerosi aspetti di tipo culturale, prima fra tutti l’arte calligrafica giapponese, o Shodō.
I Samurai prestavano una particolare attenzione alle armi, tanto che, nel periodo Tokugawa, si riteneva che la Katana, la celeberrima spada di cui erano equipaggiati, fosse la sede materiale della loro anima, un oggetto così importante che veniva affidato loro solo dopo una cerimonia chiamata Genpuku, che portava gli aspiranti guerrieri a evolvere: il nome di nascita cambiava e veniva dato loro un Wakizashi, ossia un pugnale che, affiancato spada vera e propria, costituiva un unicum chiamato Daishō, cioè Grande e Piccola. A tali oggetti si accompagnava poi un arco.
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Questi leggendari guerrieri persero il loro peso sociale solo dopo il cosiddetto Rinnovamento Meiji, attorno al XIX secolo, allorché furono aboliti in favore della costituzione di un esercito in stile occidentale, azione che fu causa della Ribellione di Satsuma, in cui molti di loro insorsero, sotto la guida di Saigō Takamori, per opporsi all’occidentalizzazione del Giappone.
In Giappone, Shimoi è molto noto fra gli studiosi e le persone di cultura. Io stesso, nel 2014, presi parte a due convegni su di lui, a Tokyo e a Kyoto”, G. B. Guerri, 2014.
Una volta persa la Battaglia di Shiroyama, il codice d’onore, detto Bushidō, portò Saigō a rifuggire la morte disonorevole tramite il costume del Seppuku, il suicidio rituale che consisteva nella recisione del ventre tramite l’uso del Wakizashi.
Oggi i Samurai ci paiono un’entità lontana, eppure hanno lasciato una traccia persino nelle nostre terre: celebre è infatti la storia di Harukichi Shimoi, soprannominato da D’Annunzio Samurai di Fiume, il quale contribuì molto all’avvicinamento fra il Giappone e l’Italia del Fascismo, da lui ritenuto il naturale prosieguo del Risorgimento, in grado di rendere finalmente uniti gli italiani.