D’Annunzio oltre il Futurismo
Forse la migliore comprensione dell’indefinito rapporto tra il Vate e il Futurismo, può risiedere in questa plastica rappresentazione: per Gabriele D’Annunzio, quando un’automobile, simbolo del nascente macchinismo, cessava di funzionare, avrebbe comunque mantenuta la sua importanza nel tempo. Per Filippo Tommaso Marinetti, da quello stesso istante, l’automobile non sarebbe esistita più e la macina del tempo non avrebbe mantenuto più nulla.
Al di là di ogni trionfalismo propugnato dalla dinamica modernista, assurta per i futuristi a vera e propria religione, per D’Annunzio, che dalla modernità tecnologica comunque attinge, fa capolino lo status precario della persona immersa nell’universo – macchina, che svela una tenebrosa mancanza di equilibrio interiore.
In D’Annunzio il sentimento malinconico, venato di decadentismo, coinvolge la sostanza dell’essere, non abbandonando mai le sue creature all’ipnosi, seppur affascinante, del progressismo fine a sé stesso.
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D’Annunzio ha frequentato la modernità, avendo dimostrato anche militarmente di essere stato al passo coi tempi, e non a caso nel romanzo Forse che si, forse che no la folle corsa di Paolo Tarsis e di Isabella su di una scintillante e aggressiva automobile ne è una potente rappresentazione, eppure, insieme al magnete del motore e alla spera convessa del rame, segue il presentimento della morte e la fumosa cortina dell’incertezza. Umano. Più che Umano.
Ex celeritate lucem”, G. D’Annunzio.