La tragedia dimenticata delle Foibe
La tragedia delle Foibe, ben al di là della strumentale equazione Fascismo – Reazione Antifascista, deve essere invece ascrivibile, tra le molteplici ragioni, al patto scellerato che vide impegnati i comunisti italiani nell’avere l’appoggio di Tito in cambio della cessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Un vergognoso episodio, che sarà la premessa ai successivi infoibamenti e che vide scatenarsi la supremazia dei confini ideologici rispetto a quelli naturali dettati dalla Storia e dalla Geografia, complice una stretta alleanza tra il Partito Comunista Italiano e il Movimento Popolare di Liberazione Jugoslava guidato da Josip Broz detto Tito.

Documenti incontestabili e di eccezionale rilievo hanno messo in evidenza come gli infoibamenti e il successivo esodo, dai primi massacri del 1943 alla grande mattanza del 1945, videro la scomparsa di decine di migliaia di italiani d’Istria e Dalmazia, testimoniata, ed è un solo esempio tra i tanti, dall’eccidio di Malga Porzus. Infoibamenti che furono condotti “a guerra finita” nei confronti di civili inermi, donne, bambini, insegnanti, sacerdoti, funzionari, medici, che costituivano quella classe intermedia che doveva essere fisicamente soppressa in nome della antica dottrina di Vaso Cubrilovic. Vaso Cubrilovic aveva decenni prima teorizzato come l’eliminazione dei ceti medio – colti avrebbe privato la parte popolare dell’etnia italiana, storicamente insediata in quelle terre, dei necessari punti di riferimento, favorendo così un inevitabile esodo sotto la cappa della paura e del terrore.
Il successivo distacco ideologico tra Stalin e Tito, quest’ultimo estromesso dal Cominform, avrebbe poi fornito l’alibi a tutte le forze politiche italiane (democristiane, socialiste, repubblicane e liberali) per tumulare definitivamente le indagini e la condanna dei massacri in nome della realpolitik che necessitava dell’amicizia con Tito per avere così un cuscinetto politico – geografico in funzione anti-sovietica. Tutto era stato comunque sancito dal Trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, un vero e proprio diktat imposto dalle potenze vincitrici, con cui venivano strappate all’Italia, Pola e gran parte dell’Istria, Fiume, Zara e le isole adriatiche, tutte consegnate alla Jugoslavia.
In questo contesto storico inequivocabilmente genocidario si inseriscono vicende personali tragiche e commoventi quali quella di Norma Cossetto, vittima della prima stagione degli infoibamenti, stuprata, torturata e gettata nell’orrido di Villa Surani insieme a decine di altri italiani, solamente per non avere rinunciato alla propria nazionalità e dopo avere rifiutato di essere irreggimentata nel movimento partigiano titino. Una ulteriore prova del fatto che l’Antifascismo sbandierato dai liberatori era solo una chimera nel vano tentativo di inserire la sua esecuzione nell’ambito di un processo di avversione alla prepotenza del Fascismo.
Fu una barbarie basata su un disegno annessionistico slavo che assunse i sinistri connotati di una pulizia etnica”, Giorgio Napolitano.
A questo episodio si aggiunse quello delle povere Sorelle Radecchi gettate nella foiba di Terli, colpevoli, agli occhi dei loro assassini, di avere frequentato alcuni giovani militari della Regia Aeronautica di stanza ad un vicino distaccamento. Nulla si doveva sapere e niente doveva essere detto.
Da quegli anni, cupi, orribili e dolorosi emerge la figura di Arnaldo Harzarich, l’Angelo delle Foibe. Maresciallo di terza classe del 41° Corpo dei Vigili del Fuoco di Pola, città in cui era nato, dedica anni della sua vita alla pietosa riesumazione delle migliaia di cadaveri, dall’ottobre del 1943 al febbraio 1945 in condizioni disumane calandosi a decine e decine di metri di profondità a Villa Surani, Villa Sergi, Antignana, Raspo, Semi e in innumerevoli altre foibe dalle quali, come in un incubo, fece fatica egli stesso a emergere. Harzarich veniva regolarmente mitragliato dai “partigiani titini” quando tornava al suo distaccamento, mentre autentici criminali come Aloiz Hovrat, il commissario politico dell’Ozna (Polizia segreta Titina) avrebbero come tanti percepito sino alla morte la pensione da parte dello Stato Italiano.
Che il massacro degli italiani di quelle terre nulla ebbe a che vedere con la cosiddetta “reazione antifascista”, lo si poté tragicamente riscontrare il 18 agosto 1946, a quasi un anno dalla fine della guerra, quando a Vergarolla, in una torrida giornata d’estate, mentre ventimila persone si erano radunate nell’Arena romana di Pola invocando il ritorno dell’Italia in quel luogo, si verificò una terribile esplosione sulla spiaggia di Vergarolla, dove erano accorsi centinaia di atleti con le loro famiglie. Le tante mine marittime accatastate da anni sulla spiaggia, come una piccola e dormiente collina, erano state riattivate nella notte precedente dai comunisti dell’Ozna. Fu una spaventosa strage, in cui persero la vita ben centosedici civili, molti tra loro, bambini.

Nessuno avrebbe pagato. La coltre ideologica che permise poi di condannare come fascisti ben trecentocinquantamila italiani costretti all’esodo da terre che erano state romane e veneziane avrebbe fatto il resto. Oggi è tempo di riconoscere apertamente le cause e i colpevoli. Senza infingimenti. Senza vergognosi tentativi di mistificazione. Lo dobbiamo alle vittime. Lo dobbiamo alla nostra Dignità di Italiani.