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Monteluro: una battaglia al crepuscolo del Medioevo

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Quella di Monteluro fu una classica battaglia medioevale, ma della fase terminale del Medioevo. Fu una battaglia per così dire regionale, se vogliamo, che certamente non ha avuto gli echi di Azincourt, Orleans, Bouvines, che decretarono la stabilità o il nuovo assetto degli Stati Nazionali, eppure viene ancora oggi ricordata dagli storici come uno scontro significativo tra potenze italiche e non solo, causata dal desiderio di raggiungimento di nuovi equilibri.

Oggi sul fare della sera, la quiete di queste terre, che comprendono Tavullia, Fano e Monteluro, sembra incommensurabilmente distante dallo scontro rapido e feroce che si svolse nel lontano 8 novembre 1443. A rendere tale duello degno di continui studi e di approfondimenti di notevole importanza storica sono stati sicuramente i grandi personaggi che hanno concorso alla consumazione di questo evento. Da una parte, Papa Eugenio IV, desideroso di riconquistare i territori della Marca e con lui, Niccolò Piccinino, valentissimo condottiero che con seimila cavalieri, investirà Misano, San Giovanni in Marignano e Scazano. Non ultimi, vi sono anche Federico da Montefeltro, Malatesta Novello e Alfonso I di Aragona.

Dall’altra parte militano, in una sorta di improvvisata ma solida alleanza, Sigismondo Pandolfo Malatesta, signore di vastissimi territori dell’Italia centrale, e Francesco Sforza. Il primo un valentissimo principe guerriero e mecenate, il secondo sarà invece uno dei fondatori del grande casato degli Sforza. A fare da importante cornice a questa alleanza, il concorso di Venezia, Firenze e Milano, che si impegneranno a sostenere finanziariamente i Malatesta e gli Sforza. La battaglia di Monteluro sarà anche un classico esempio di manovra propagandistica, volta ad esaltare, a seconda dell’impegno degli ideologi e degli encomiasti di turno, i meriti di una di queste figure a scapito di altre. Niccolò Piccinino, figlio di un macellaio, si è fatto le ossa in Romagna ed è il più stimato e pagato condottiero italiano. Sigismondo Pandolfo Malatesta domina fra Romagna e Marche.

Nei giorni precedenti allo scontro, Sigismondo tiene un importante consiglio di guerra a Rimini con lo Sforza e una serie di condottieri minori e molto fedeli, mentre il Piccinino esce da Pesaro e si schiera sul Foglia. Siamo alle strette e tutti comprendono che, per ragioni geografiche e organizzative, la battaglia non potrà che avere luogo a Monteluro: si devono regolare i conti in quanto la località è davvero strategica.

Lo Sforza e Sigismondo Pandolfo ebbero così buon gioco ad attaccare, l’8 novembre 1443 a Monteluro, le truppe del Piccinino, battendole nettamente”, S. Lancioni, Storia della provincia di Pesaro e Urbino.

– Luigi Einaudi

È l’otto novembre e si accendono le prime scaramucce. Il Piccinino decide di provocare lo Sforza mandandogli contro Malatesta Novello. Sigismondo Pandolfo Malatesta vede a sua volta il Piccinino montare a cavallo ed è in quel frangente che decide di guadare il fiume Foglia e attaccare da solo. Lo scontro verrà definito ferox (feroce) e alla fine il Piccinino, pur resistendo diverse ore, verrà rotto e fracassato prima per la virtù hoperata per lo prefato Sig.r Mis Sigismondi de Malatesti.

L’esercito del Papa perde in un solo giorno duemila cavalli, tutti i carriaggi e tanti e bravi valentissimi cavalieri. È una battaglia della quale si parlerà a lungo. Il Piccinino si salverà ma non si riprenderà più dalla sconfitta. Sarà Federico da Montefeltro a organizzargli la ritirata limitando i danni della Battaglia perduta.

L’Italia, che tale ancora non era, vedrà poi uno stabile assetto con la Pace di Lodi, preludio alle successive battaglie della Guerra d’Italia, il cui territorio sarà invaso da molte potenze straniere. Il Risorgimento è ancora lontano da quell’otto novembre 1443, dalla Battaglia di Monteluro, che si consumò in poche ore, sul fare della sera.